L’infinito e la sua storia
E’ risaputo che la visione greca
del mondo fosse basata su concetti come l’armonia, la proporzione,
l’equilibrio, la perfezione, la determinatezza e la razionalità; questa
visione rende quindi particolarmente problematici l’accettazione e
l’utilizzo del concetto di infinito. La parola greca per infinito, apeiron (apeiron), e
cioè, letteralmente, senza limite, ha un costrutto tipicamente negativo (la lettera
iniziale a- nega ciò che segue), con un senso di senza forma, senza definizione.
Per trattare questo concetto i greci hanno preferito adottarne due diverse
concezioni: quella “potenziale” e quella “attuale”.
Questa distinzione si deve in primo luogo ad Aristotele: l’infinito attuale
è qualcosa di completo e compiuto, costituito da infiniti elementi, in
contrapposizione all’infinito potenziale che è qualcosa di non completo a cui
possono essere sempre aggiunti elementi ma in numero finito. Si avrà poi
un rifiuto del concetto di infinito attuale, mentre una accettazione del
concetto di infinito potenziale come processo di ecceterazione (cioè come
possibilità di “andare sempre oltre”, ma facendo passi “finiti”). Facciamo un
esempio; l’insieme dei numeri naturali era considerato un infinito potenziale,
infatti fissato qualsiasi numero naturale ne posso sempre trovare uno
maggiore di esso (basta aggiungere 1) ma non posso coglierne il senso
in toto, cioè non posso parlarne come di un infinito attuale. Queste
concezioni di infinito furono concepite anche per superare le difficoltà poste
da alcuni ben noti problemi, che non tardarono ad emergere e che ora
esamineremo; tratteremo del problema dei segmenti incommensurabili, scoperti
dai Pitagorici, dei paradossi di Zenone e del problema della rettificazione del
cerchio.