Storia delle equazioni

Medioevo



Durante il periodo medievale non ci furono particolari sviluppi nell’ambito della matematica europea: infatti, si stavano diffondendo, grazie anche a scuole di traduttori, come quella di Toledo e a persone come Adelardo di Bath, le traduzioni degli “Elementi” di Euclide, dell’ “Almagesto ” di Tolomeo, dell’ “Al-jabr” di al-Khuwarizmi… diverse culture, dalla greca alla araba, iniziarono a fondere, lasciando spazio a idee e problemi che si sarebbero risolti nel corso del tempo…


Di conseguenza, nell’ambito delle equazioni si iniziano a studiare e risolvere quelle di primo e secondo grado:Matematicamente queste risoluzioni non forniscono pertanto nulla di nuovo. Dal punto di vista storico, invece esse hanno molta importanza poiché proprio da queste (...) l’Europa venne a conoscenza dell’Algebra.”

(Silvio Maracchia)


Il passaggio dell’“equo” Leonardo Pisano, il Fibonacci(Pisa, 1170 - Pisa, 1240)


E’ il primo ad usare la parola equo (etimologia latina, “rendere uguale”) nel Liber Abaci (1202);

Nel Flos (1225) affronta una particolare equazione cubica:che gli era stata proposta da Giovanni Panormita, alla corte di Federico II.


Leonardo dimostrò che la soluzione non può trovarsi come rapporto di interi o come numero della forma a + √b, con a, b razionali, e dando come soluzione (reale) il valore:




Soluzione che, pur non spiegando il metodo, esprime in maniera approssimata come una frazione sessagesimale, ma che trasformata in valori decimali è esatta fino alla decima cifra decimale! Sorge spontaneo un dubbio: forse il Fibonacci conosceva i risultati del matematico persiano Al-Biruni?


Fra’ Luca Bartolomeo de Pacioli
(Sansepolcro, 1445 - 1514 o 1517)

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(Luca Bartolomeo de Pacioli)


Nel 1494 pubblica un’enciclopedia matematica dal titolo “Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalità”, scritta in volgare, e nel capitolo dedicato all’algebra, la Distinctio ottava, conclude:

Per le equazioni di terzo e quarto grado non è stato possibile finora formulare delle regole generali”.

Nella Distinctio ottava, Luca Pacioli rianalizza le sei solite equazioni (già studiate da Pisano) ed inoltre nel foglio 149 elenca otto tipi di equazioni di grado superiore al secondo; in parte riconducibili a equazioni di II grado, in parte riconducibili a equazioni di III grado di cui non fornisce una formula risolutiva.



Il metodo generale di risoluzione delle equazioni di III grado

La posizione di Luca Pacioli influenza gli studi successivi sulla ricerca di un metodo generale per le equazioni di terzo grado.


Per quanto mi riguarda, infatti, ingannato dalle parole di Luca Pacioli il quale nega che ci possa essere qualche

altra cosa di generale oltre i suoi capitoli (sebbene già prima nelle cose da me trovate ci fossi vicino), disperavo

tuttavia di trovare ciò che non osavo ricercare” (G.Cardano)


Accanto un primo atteggiamento di rinuncia, la ricerca del metodo è perseguita come sfida/problema della matematica rinascimentale. Così l’equazione da strumento matematico diventa interesse/oggetto di studio; non trattandosi più di cose particolari ma formule generali.


Scipione dal Ferro (Bologna, 6 febbraio 1456 - 5 novembre 1526)

Scipione Dal Ferro, descritto come un uomo mite e come grande algebrista, nel 1496 divenne uno dei cinque titolari della cattedra di matematica allo Studium (cioè l’Università ) di Bologna e, da diverse fonti (poiché dello stesso Scipione non ci sono pervenuti né manoscritti né opere di stampa), è designato come il primo scopritore della formula risolutiva generale dell’equazione di terzo grado:

Gerolamo Cardano, nel libro XI dell’ Ars Magna, scrive:


‘’De cubo et rebus aequalibus numero. Scipio Ferreus Bononiensis iam annis ab hinc triginta ferme capitulum hoc invenit (…) ‘’


Rafael Bombelli, nel manoscritto completo de L’Algebra chiama la regola risolutiva ‘’Regola di Scipione Dal Ferro’’

In un manoscritto ritrovato nella Biblioteca Universitaria di Bologna da Ettore Bortolotti, dal titolo Regole principalidell’arte maggiore, detta Regola della Cosa ovver d’Algibra , che sembra riferirsi alle lezioni tenute da Pompeo Bolognetti attorno al 1554-58 (allievo di Scipione Dal Ferro), si trova, sotto il titolo Dil cavaliero Bolognetti, lui l’hebbe da Messer Sipion dal Ferro, vecchio bolognese, una esposizione della regola:


Il Capitolo di cose e cubo uguale a numero:

Quando le cose e li cubi si eguagliano al numero, Ridurai l’equazione a 1 cubo partendo per la quantità delli cubi, poi la terza parte delle cose, poi quadra metà dil numero e questo suma con il detto cubato, et la radice di deta summa più la metà del numero fa un binomio et la radice cuba di tal binomio, men la radice cuba del suo residuo val la cosa.”



L’equazione trattata da Scipione Dal Ferro, attorno agli anni 1505 o 1515, è del tipo ax3 + bx = c (cose e cubi equivalenti a numeri), che viene ridotta alla forma x3 + px = q.


Scipione non rivelò mai l’importante risultato a cui era pervenuto(se non prima di morire all’allievo Antonio Maria Dal Fiore) : nella Bologna del tempo, stupiva il pubblico e i colleghi sotto il portico della Chiesa di santa Maria dei Servi a Bologna, dove avevano luogo le disfide, ovvero dispute verbali pubbliche alle quali partecipavano funzionari accademici, giudici designati, sostenitori dei contendenti, scommettitori …

La vittoria in una disfida era importante perché copriva di prestigio i vincitori, allungava la permanenza in carica nello Studium, aumentava lo stipendio:

si narra che lo stipendio di Scipione Dal Ferro aumentò da 25 a 100 lire!