Ci sono diverse ragioni per cui la rappresentazione posizionale dei numeri in base ha rappresentato un grande passo avanti rispetto ai sistemi precedenti.
In primo luogo, permette di scrivere in modo efficiente numeri anche molto grandi. Con i sistemi precedenti, ad esempio il sistema di numerazione romano, questo è, in teoria, possibile, ma certamente non pratico. Potremmo, ad esempio, scrivere qualsiasi numero usando solo il simbolo I, ripetuto a sufficienza (dieci volte per il numero dieci, mille volte per il numero mille, e così via), ma è chiaro che non andremmo molto lontano.
Noi oggi troviamo naturale pensare che il sistema dei numeri che usiamo
sia infinito, ossia che possiamo pensare, e usare, numeri grandi quanto
si vuole, e il sistema posizionale ci viene in aiuto. Non è sempre
stato così:
Archimede, ad esempio (287-212 A.C.), scriveva nell'
"Arenarius", un'opera dedicata al sovrano di Siracusa, Gelone:
"Alcuni pensano, o re Gelone, che il numero dei granelli di sabbia sia infinito per grandezza: parlo del numero dei granelli non solo della sabbia che è nei dintorni di Siracusa e nel resto della Sicilia, ma anche della sabbia sparsa su tutta la Terra... Ci sono altri, al contrario, che partono dall'affermazione sicura che questo numero non è infinito, ma che tuttavia non si potrebbe enunciarne un altro che sia più grande... Ebbene, io cercherò di provarti, attraverso delle dimostrazioni geometriche di cui potrai seguire i ragionamenti, che certi numeri che ho espresso... sorpassano non solo il numero di granelli di sabbia il cui volume è uguale a quello della Terra, ma anche il numero dei granelli di sabbia il cui volume è uguale a quello del cosmo". |
Per quanto bizzarra possa sembrarci l'idea di contare il numero dei granelli di sabbia dell'universo, è interessante notare come, al tempo di Archimede, non fosse considerato evidente il fatto che non esiste un numero più grande di tutti, ma che anzi, per ogni numero se ne può sempre trovare uno più grande (questa proprietà dei numeri è chiamata, infatti, "Assioma di Archimede").
Il sistema di rappresentazione posizionale in base dà anche la possibilità di eseguire le operazioni aritmetiche per iscritto, ossia mediante algoritmi che operano sulle cifre del numero scritto. Prima dell'invenzione di questi algoritmi, si usavano gli abaci, ovvero le tavole per calcolare.1
Permette anche di controllare il risultato, e trovare eventuali errori, mediante procedimenti quali la prova del (anticamente si usava anche la prova del ).
Un'ultima osservazione può essere fatta a proposito dei simboli che ancora adoperiamo per rappresentare le cifre, ossia "1", "2" eccetera, e che risalgono anch'essi agli Indiani.
Questi simboli non hanno alcuna relazione con le quantità che rappresentano, ad esempio il simbolo "5" non suggerisce in alcun modo l'idea di cinque oggetti, al contrario di quanto potrebbe fare, ad esempio, il simbolo "IIIII". Sembra quindi che l'uso di simboli più espressivi e trasparenti, del tipo di "IIIII", potrebbe portare dei vantaggi in termini di facilità di apprendimento e rapidità di lettura.
Invece non è così. Studi recenti (vedi [SD], cap.4) hanno mostrato che il nostro sistema percettivo e cognitivo è in grado di riconoscere immediatamente la numerosità di un insieme (e quindi, ad esempio, riconoscere che il simbolo "III" contiene tre sbarrette senza bisogno di contarle) solo quando questa non supera i tre oggetti, mentre è più lento nel contare di quanto non sia nell'associare un significato ad un simbolo arbitrario. In quest'ultima attività è talmente rapido ed efficiente da rendere di fatto impossibile leggere un simbolo numerico, come ad esempio "5", senza associargli il numero corrispondente.
Tutto questo fa sì che il sistema posizionale in base inventato dagli Indiani, con simboli arbitrari per le cifre da a , sia quello che utilizza nel modo più efficiente le caratteristiche del nostro sistema cognitivo.
Bisogna quindi concludere che il sistema di rappresentazione posizionale in base 10 ha solo pregi ?
Almeno un difetto sembra averlo: il fatto che il significato di una cifra dipende dalla sua posizione, rende il sistema soggetto ad errori piuttosto pericolosi.
Supponiamo infatti di dover leggere un assegno a sette cifre, e che la prima di queste cifre sia stata scritta come una via di mezzo tra un e un .
E' chiaro che, se leggiamo al posto di , o viceversa, le conseguenze possono essere serie. Se invece scriviamo il numero in lettere, un'incertezza nella lettura di una singola lettera ha conseguenze molto meno gravi, e questo spiega perchè a volte, ad esempio nella compilazione degli assegni, siano richesti entrambi i metodi.
Che sia proprio questa la ragione per cui, nel 1299, la corporazione dei banchieri fiorentini proibì esplicitamente l'uso del sistema di numerazione arabo (il nostro) nella contabilità, richiedendo invece che i numeri venissero scritti per esteso in lettere ?
In ogni caso, il rischio di errore verrebbe molto ridotto (a spese della concisione) se, invece di usare un solo simbolo per ogni cifra, la scrivessimo per esteso in lettere, conservando la regola posizionale, come usavano fare gli astronomi indiani attorno al VII secolo D.C. In questo modo, ad esempio, diventerebbe "due.zero.zero.uno".
Un altro problema è che l'uso del sistema posizionale costringe ad imparare un metodo per "transcodificare", ossia per tradurre i numeri dalla loro forma decimale posizionale alla forma decimale non posizionale, e irregolare, usata nella lingua parlata, compito che a volte pone delle difficoltà ai bambini, tanto maggiori quanto più irregolare è il sistema di numerazione incorporato nella lingua materna (vedi l'appendice).