1. UN PO' DI STORIA . . .

 

 

 

" Archimede sarà ricordato quando Eschilo sarà dimenticato, perché le lingue muoiono ma le idee matematiche no.

<<Immortalità>> è forse una parola ingenua ma, qualunque cosa significhi, un matematico ha le migliori probabilità di conseguirla. "

G. H. Hardy

Archimede è nato e vissuto a Siracusa tra il 287 e il 212 a. C.

Sono scarse le notizie sulla vita di questo grande scienziato, tuttavia è possibile ricavarle dalle opere di importanti letterati come Tito Livio e Plutarco che narrano le sue invenzioni e le sue imprese (quale la difesa di Siracusa dai romani).

Archimede, figlio dell'astronomo Fidia, svolse i suoi studi in Grecia, in Asia Minore e in Egitto, ad Alessandria, sede della famosa biblioteca di cui era responsabile Eratostene, con cui strinse un forte legame. Al suo ritorno a Siracusa, però, mantenne buoni rapporti epistolari e di amicizia con molti dei suoi compagni di studi, come si evince anche da diverse dediche delle sue opere.

Archimede può sicuramente essere considerato il più grande scienziato dell'antichità: i suoi studi spaziavano dalla meccanica alla geometria, alla fisica, all'ottica, all'idrostatica e altro ancora. Ci ha lasciato un patrimonio scientifico così ampio che qualcuno stenta a credere che sia vero, anche se le fonti riportate sono verificate e più che attendibili.

Operò, come dicevamo, soprattutto a Siracusa. Qui, infatti, unito da legami di amicizia e forse di parentela con il tiranno Gerone, svolse la sua attività di matematico e inventore sotto la sua protezione e al servizio della città (v. storia). A lui sono attribuiti diversi motti e aneddoti quali il famoso "EUREKA!" (Ho trovato!) legato al suo principio dell'idrostatica e "Datemi un punto di appoggio e vi solleverò il mondo.", in occasione dei suoi studi sulle leve.

Dalle testimonianze giunte fino a noi si osserva che Archimede fu sempre molto interessato sia ai principi generali dei suoi studi che al lato pratico delle sue stesse scoperte: potremmo forse affermare che egli sia il prototipo di tante immagini dello scienziato moderno. 

La leggenda vuole, poi, che egli fosse trascurato nella persona, così distratto che a volte dimenticava persino di mangiare! Quando gli si presentava un problema particolarmente urgente, disegnava sul suo corpo con un dito unto d'olio, i dati del problema. Non sembra finire qui, la sua singolarità. Infatti, è emblematico il modo in cui, sempre secondo il mito, elaborò il principio che porta il suo nome, per cui:

"Un corpo immerso in un liquido è sottoposto a una spinta verticale diretta dal basso verso l'alto uguale al peso del liquido che esso sposta".

Si dice che Archimede giunse a tale scoperta mentre faceva il bagno nella sua vasca e che, preso dall'entusiasmo per tale scoperta, uscì nudo da casa e corse così tra le strade di Siracusa urlando "EUREKA!", tra il naturale sbigottimento dei suoi cittadini. 

Come per molti grandi geni, quindi, aveva un comportamento assai bizzarro ed è proprio grazie a tutte queste leggende che noi oggi, pensando al grande Archimede, ci figuriamo uno scienziato enormemente creativo ma un po’ strano…

Proprio la sua distrazione o, al contrario, la sua enorme capacità di concentrazione, causarono la sua morte. Infatti, una notte dell'anno 212 a.C., Siracusa cadde in mano ai romani dopo un lungo assedio. Archimede, immerso nelle sue riflessioni sulla geometria, non sentì, volutamente o no, i passi di un soldato che gli si avvicinava e non si voltò. Quest'ultimo chiese più e più volte allo scienziato chi esso fosse ma non ottenne mai risposta: furioso per quell'atteggiamento giudicato arrogante, lo uccise.

Archimede aveva settantacinque anni quando morì, un'età notevole per l'epoca e, secondo la leggenda, le sue ultime parole furono "Noli me tangere" (non toccarmi, o, secondo un'altra versione: "Noli tangere circulos meos", cioè non toccare i miei cerchi).  La sua morte fu una dura perdita per tutti e se ne rammaricò anche il capo dei romani, Marcello, che aveva dato espressamente ordine ai suoi soldati di non fare del male al grande studioso, sperando di poterlo costringere a portare il suo genio al servizio di Roma.

La sua tomba , ritrovata nel 75 d.C. da Cicerone, è oggi andata perduta.