LA STORIA:
Sono diversi gli autori latini che ci parlano di Archimede. Possiamo ricordare Plutarco, Tito Livio e Cicerone. Tutti estremamente affascinati dal genio di questo eccelso scienziato ne decantano le lodi e la loro ammirazione in diversi contesti.
Plutarco, ad esempio, dichiara che:
"In tutta la geometria non è dato incontrare argomenti più difficili e profondi di quelli affrontati da Archimede, espressi in termini più semplici e puri. [..] Per quanto uno cerchi, non potrebbe mai arrivare da solo alle dimostrazioni che egli dà; eppure appena le ha apprese da lui, ha la sensazione che sarebbe riuscito egli pure a trovarle, tanto liscia e rapida la strada per cui conduce a ciò che vuole dimostrare."
Diverse sono le testimonianze che ci sono giunte sull'assedio di Siracusa, su come gli abitanti resistettero al potente e imbattuto esercito romano e su come il genio di Archimede permise tutto ciò.
Vediamo, ad esempio, alcuni passi tratti da Tito Livio:
" […] E in effetti l'impresa (dell'attacco a Siracusa) iniziata con così tanto impeto avrebbe avuto successo, se soltanto a Siracusa non ci fosse stato, in quel tempo, un uomo, Archimede. Era quegli un impareggiabile osservatore del cielo e delle stelle, un ancora più straordinario, nondimeno, scopritore e costruttore di congegni e di macchine da guerra, con cui era in grado di prendersi gioco con il minimo sforzo di qualsiasi azione fosse con enorme impiego di forze dai nemici condotta. Le mura, costruite lungo colline disuguali, luoghi nella maggior parte alti e di difficile scalata, bassi in certi punti e tali che vi si poteva accedere tramite valli pianeggianti, egli fornì di ogni tipo di macchine così come gli parve conveniente a ciascuna posizione.
Le mura dell'Acradina, che, come si è detto prima, sono lambite dal mare, erano assalite da Marcello con sessanta quinqueremi. Da tutte le altre navi arcierei e frombolieri ed anche veliti, la cui arma è incomoda da rilanciare per chi non è pratico, a stento permettevano a qualcuno di prendere posizione sulle mura senza essere ferito. Questi, poiché per le armi da getto c'è bisogno di spazio, tenevano le navi lontano dalle mura. Alcune quinqueremi, unite a due a due, essendo stati tolti i remi delle parti interne così che una fiancata fosse congiunta all'altra, mentre venivano fatte andare avanti dall'ordine di remi delle parti esterne come se fossero una nave sola, trasportavano torri munite di ripiani (la sambuca) e altre macchine per abbattere le mura.
Contro questo assetto delle navi, Archimede dispose sulle mura congegni di diversa grandezza. Contro quelle navi che si trovavano lontano scagliava massi di enorme peso, quelle più vicine colpiva con armi da lancio più leggere e perciò più frequenti; infine, affinché i suoi senza rimaner feriti scagliassero armi da getto contro il nemico, scavò nelle mura dal fondo alla sommità a breve distanza l'una dall'altra apertura di circa un cubito.
[…] Alcune navi si accostavano più da vicino alle mura, per trovarsi al riparo dal tiro delle macchine; mediante un'altalena sporgente al di sopra delle mura, un rampone di ferro, attaccato ad una resistente catena, scagliato contro di esse dentro la prora e per effetto di un pesante contrappeso di piombo ritirandosi indietro verso terra, portata in alto la prora, alzava la nave sulla poppa; poi, lasciato cader giù improvvisamente, mandava la nave, come se precipitasse dalle mura, tra l'enorme panico dei marinai, a sbattere contro le onde con tale violenza che essa, anche se ricadeva diritta, riceveva parecchia acqua. In questo modo l'assalto per mare fu reso vano, e ogni speranza fu volta all'obiettivo di sferrare un attacco con le forze al completo per via di terra. […] "
Ma anche quella parte era stata munita allo stesso modo di ogni attrezzatura di macchine da guerra a spese e a cura di Gerone nel corso di molti anni, dall'abilità senza pari di Archimede.
Cooperava anche la conformazione naturale del luogo, poiché la roccia sopra cui sono poste le fondamenta delle mura in gran parte è talmente in pendio che non solo ciò che fosse stato scagliato dalle macchine, ma anche ciò che fosse rotolato giù in virtù del suo peso si abbatteva violentemente sul nemico.
Il medesimo motivo rendeva, alla scalata, difficoltoso l'accesso e malsicuro il passo. Così, tenuto un consiglio di guerra, si decise, poiché ogni tentativo si risolveva in una beffa, di desistere dall'assalto e di impedire al nemico, ricorrendo al solo blocco d'assedio, i rifornimenti per terra e per mare. […] "
Numerose sono le descrizioni riportate sulla morte del grande Archimede e sul ritrovamento della sua tomba.
Questa volta potremmo citare "La vita di Marcello" di Plutarco che descrive il dolore del condottiero alla scoperta della morte di uno dei suoi più degni avversari:
" […] Ma più di tutto Marcello fu addolorato dalla sventura che toccò ad Archimede. Per una malaugurata circostanza lo scienziato si trovava solo in casa e stava considerando una figura geometrica, concentrato su di essa, oltreché con la mente, anche con gli occhi, tanto da non accorgersi che i Romani invadevano e conquistavano la città. Ad un tratto entrò nella stanza un soldato e gli ordinò di andare con lui da Marcello. Archimede rispose che sarebbe andato dopo aver risolto il problema e messa in ordine la dimostrazione. Il soldato si adirò, sguainò la spada e lo uccise.
Altri storici narrano il fatto diversamente. Dicono che il romano si presentò già con la spada in pugno, pronto per ammazzarlo, e che Archimede, appena lo vide, lo pregò di aspettare un istante, affinché non lasciasse incompleto e privo di dimostrazione ciò
Secondo una terza versione alcuni soldati incontrarono per strada Archimede, mentre stava portando a Marcello uno strumento scientifico, composto di meridiane, sfere e quadranti, mediante i quali si misurava a vista la grandezza del sole, dentro a una cassa. I soldati pensarono che avesse con se dell'oro, e lo uccisero.
Tutti gli storici sono però concordi nel dire che Marcello fu molto addolorato dalla sua morte e ritrasse lo sguardo dall'uccisore, quando gli si presentò, come se fosse un essere contaminato. Trovati poi i suoi parenti, li onorò. […] "
Inoltre, leggiamo le testimonianze della tomba di Archimede, in particolare dell'effige che si dice egli volle incisa sella sua lapide a rappresentanza del fatto che per lui era la sua più grande scoperta. Plutarco scrive così:
" […] Molte e mirabili furono le scoperte che egli fece; ma sulla tomba pregò, si dice, gli amici e i parenti di mettergli, dopo morto, un cilindro con dentro una sfera, e quale iscrizione la proporzione dell'eccedenza del solido contenente rispetto al contenuto.[…] "
Cicerone, infine, ci descrive così il suo ritrovamento della tomba di Archimede. Dopo aver cercato a lungo, riuscì finalmente a scoprire dove era stato sepolto il degno rivale, e andò a rendergli omaggio:
" […] Quando ero questore in Sicilia mi misi a cercare la sua tomba invasa dalle erbe e dagli sterpi, che i siracusani non conoscevano e anzi negavano che esistesse. Avevo infatti sentito parlare di alcuni versi incisi sulla tomba che spiegavano perché essa fosse sormontata da una sfera e da un cilindro. Fuori da Porta Agrigentina c'è un gran numero di sepolture, e a forza di cercare e di guardare, notai finalmente una piccola colonna che a pena superava la boscaglia di sterpi, e su di essa erano raffigurati una sfera e un cilindro. Subito dissi ai Siracusani (si trovavano con me i più ragguardevoli cittadini) che pensavo si trattasse proprio di ciò che cercavo. Si mandò molta gente con falci e il luogo fu ripulito e sgombrato. Quando fu aperto l'accesso, ci avvicinammo al lato frontale del piedistallo: si vedeva un'iscrizione quasi dimezzata, in cui i versi si erano corrosi verso la fine di ciascuno. Così una fra le più celebri città della Grecia, e una volta anche fra le più dotte, avrebbe ignorato l'esistenza della tomba del suo più geniale cittadino, se non gliel'avesse fatta conoscere un uomo di Arpino. […] "