Storia delle equazioni
Ottocento
Nella prima metà del XIX secolo viene affrontato e risolto un altro grande problema dell'algebra classica: quello della risolubilità o meno di un'equazione algebrica mediante radicali, cioè di esprimerne le soluzioni operando sui coefficienti dell'equazione con operazioni razionali ed estrazioni di radice di vario indice. Un’equazione algebrica si dice risolubile per radicali se le sue soluzioni sono ottenibili con un numero finito di operazioni razionali (addizioni, sottrazioni, moltiplicazioni, divisioni) ed estrazioni di radice.
Dopo
la pubblicazione del lavoro di Cardano, che conteneva anche il metodo
risolutivo dell'equazione di terzo grado, si profuse grande impegno
nel trovare le soluzioni di equazioni di quinto grado e superiore, ma
invano: solo due secoli e mezzo dopo si dimostrò (Évariste Galois)
che non esistevano metodi risolutivi generali per equazioni di grado
superiore al quarto.
Infatti i lavori dell’italiano Paolo
Ruffini del 1799, in maniera incompleta, e del norvegese Niels Henrik
Abel nel 1824, in maniera esaustiva, costituiscono complessivamente
quello oggi noto come Teorema di Abel-Ruffini.
Ruffini e Niels Henrik Abel dimostrarono, indipendentemente, che l'equazione generale di quinto grado non è risolubile per radicali.
Questo
teorema non afferma che qualunque equazione di
grado n 5
non è risolubile per radicali, ma che esistono equazioni
non risolubili per radicali. Per esempio, x5 + x + 1 = 0
non è risolubile per radicali, mentre x5 - x4 - x + 1 = 0
lo è.
Il criterio esatto che distingue tra quelle equazioni che possono essere risolte tramite radicali e quelle che non possono essere risolte fu dato dal francese Evariste Galois:
un'equazione è risolubile mediante operazioni razionali ed estrazioni di radice quando e soltanto quando il gruppo di Galois ad essa associato è risolubile.
In caso contrario, per ottenere la determinazione numerica delle radici, è necessario ricorrere a procedimenti di approssimazione che esulano dal dominio proprio dell'algebra.